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Il mercato del lavoro: un bilancio degli ultimi 10 anni

Il report “Il mercato del lavoro 2018: verso una lettura integrata”, frutto della collaborazione tra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Istat, Inps e Anpal, fornisce un quadro interessante sulla situazione occupazionale italiana. Il report analizza i dati attuali in relazione alle dinamiche registrate negli ultimi 10 anni, fornisce una panoramica di alcuni fenomeni che connotano negativamente il mercato del lavoro italiano – sottoutilizzo, disallineamento formativo, fuga dei dottori di ricerca -, analizza i flussi dei lavoratori, l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e i dati riguardanti l’utilizzo delle agevolazioni contributive e degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.

Tra i numerosi interessanti fenomeni osservati e misurati, colpiscono, in particolare, i dati riguardanti il sottoutilizzo del lavoro in Italia e il disallineamento formativo tra domanda e offerta di lavoro, in merito ai quali si riportano, di seguito, alcuni stralci salienti.

Sottoutilizzo del lavoro in Italia

L’Italia è ultima in Europa per numero di persone attive tra i 15 e i 74 anni: nel 2017 in Italia hanno lavorato o cercato lavoro poco più della metà della popolazione tra i 15 e i 74 anni; meno della metà delle donne tra 15 e 74 anni appartiene alle forze lavoro.

Il sottoutilizzo del lavoro si manifesta in molteplici modi:

  • forze di lavoro potenziali, persone scoraggiate che non cercano lavoro o utilizzano modalità di ricerca poco attive;
  • sottoccupazione, ovvero mancato utilizzo di tutto il monte ore lavorativo offerto;
  • sovraistruzione, che misura quanti svolgono un lavoro per il quale il titolo di studio più richiesto è inferiore a quello posseduto;
  • disoccupazione.

La forza lavoro non utilizzata, potenzialmente impiegabile, nel sistema produttivo ammonta nel 2017 a circa 6 milioni di individui: numeri incredibilmente alti. Il fenomeno della sottoccupazione è più elevato nelle aree del Paese che presentano minori opportunità occupazionali e tra gli individui che riscontrano maggiori difficoltà di inserimento lavorativo:

  • il tasso è più elevato nel Mezzogiorno, tra le donne, i giovani e soprattutto tra gli stranieri;
  • la sottoccupazione si associa maggiormente  al lavoro a termine, ai comparti delle costruzioni, degli alberghi e ristorazione e dei servizi alle famiglie;
  • il tasso di sottoccupazione sale dal 2.5% tra chi svolge una professione qualificata o impiegatizia all’11% tra gli occupati in impieghi manuali con basse mansioni;
  • alla sottoccupazione è collegata una retribuzione inferiore;
  • è più presente nelle piccole imprese;
  • alla più elevata presenza di sottoccupati nelle qualifiche professionali inferiori si associa la più alta incidenza della sottoccupazione per i soggetti con un più basso livello di istruzione.

Sia in Italia che in Europa, dunque, il titolo di studio è fondamentale per la partecipazione al mercato del lavoro: il tasso di attività cresce, infatti, all’aumentare del livello di istruzione passando in Europa dal 44,5% di chi ha un basso titolo di studio all’81,5% di chi possiede almeno la laurea, in Italia dal 41.5% al 77.9%.

Il disallineamento formativo

Il fenomeno del disallineamento formativo, anche noto come Educational Mismatch, ha interessato più della metà (il 53,4%) delle assunzioni delle imprese italiane nel triennio 2014-2016 e la diffusione della sovraistruzione (31,6%) è stata maggiore rispetto al fenomeno della sottoistruzione (21,8%).

Distinguendo i flussi per età degli assunti, per gli under 29 (che rappresentano il 37,5% del totale delle assunzioni del triennio considerato), è preponderante la quota dei sovraistruiti (34,3%) rispetto a quella di sottoistruiti (18,3%), laddove per gli assunti over 49 anni (il 15% del totale assunzioni) l’importanza relativa dei due indicatori si inverte. Tra i laureati che svolgono un lavoro per il quale il titolo di studio richiesto è inferiore ci sono: tecnici informatici, contabili, personale di segreteria, impiegati amministrativi, tra i diplomati prevalgono baristi, camerieri, muratori, camionisti; ciò si registra più frequentemente al Nord e nel Mezzogiorno.

Tali tendenze suggeriscono, da un lato, il permanere della scarsa vivacità di domanda di lavoro qualificato da parte delle imprese, dall’altro l’aumento del flusso in entrata dei più istruiti nel mercato del lavoro che può comportare una sorta di concorrenza al “ribasso”, con i laureati che occupano i posti dei diplomati, e questi ultimi le professioni a più bassa qualifica.

Il fenomeno del disallineamento formativo può essere ricondotto ad una complessità di fattori:

  • le carenze del  sistema educativo e formativo che generano o sovrabbondanza o scarsità di figure professionali effettivamente ricercate dalle imprese;
  • il funzionamento del mercato del lavoro che può impedire il corretto collocamento della forza lavoro qualificata rispetto al percorso formativo intrapreso;
  • la carenza di visione, strategia e qualità imprenditoriale che può generare una domanda di lavoro non coerente con il potenziale di offerta, le criticità congiunturali o strutturali del sistema produttivo;
  • la mancanza di appropriati incentivi che impediscono alle imprese di attrarre le professionalità adeguate alle proprie esigenze aziendali.

Sovraistruzione e sottoistruzione

Il fenomeno della sovraistruzione riflette la difficoltà di accesso nel mercato del lavoro da parte dei giovani: difatti, l’incidenza della sovraistruzione si attenua progressivamente al crescere dell’età; fanno eccezione i lavoratori stranieri, per i quali la sovraistruzione non riguarda solo la fase di ingresso nel mercato del lavoro, ma continua a protrarsi negli anni, senza diminuire al crescere dell’età e dell’esperienza.

Distinguendo i settori in base all’intensità di conoscenza e di contenuto tecnologico, la sottoistruzione è relativamente più diffusa tra le imprese che hanno creato occupazione nel settore dei servizi a bassa intensità di conoscenza (26,3%) e nella manifattura a bassa tecnologia (17,4%), rispetto ai settori relativamente più tecnologici (14,1%) e ad alto capitale umano (21,3%), il che denota una più elevata capacità/volontà di attrarre i lavoratori relativamente più istruiti da parte di queste imprese.

La maggior diffusione del fenomeno della sovraistruzione nei settori a più alta intensità di conoscenza (31,4%) e tecnologia (42%) si può leggere come il sovrapporsi di due fenomeni: l’eccesso di offerta di capitale umano che il nostro sistema produttivo non riesce completamente ad assorbire e la maggior capacità delle imprese che operano in tali settori di attrarre professionalità qualificate, consapevoli che possano contribuire efficacemente al vantaggio competitivo aziendale.

Nell’insieme, all’interno del sistema produttivo italiano, sembra emergere, dunque, una tendenza verso una divaricazione, anche negli investimenti in capitale umano, tra settori a tecnologia/conoscenza più e meno avanzata: tendenza che potrebbe ostacolare la crescita competitiva del comparto produttivo italiano.

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