Il lavoro agile, meglio noto con il nome di “smart working”, rappresenta una rivoluzione culturale e organizzativa dei tradizionali processi lavorativi, fondata su una “cultura dei risultati” che guarda alle reali performance del lavoratore.
Cosa significa lavoro agile
Per capire esattamente cosa si intenda per lavoro agile, leggiamone la definizione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali:
Lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
Si tratta, dunque, di un radicale cambiamento di tendenza rispetto ai tradizionali turni di lavoro. Grazie allo smart working, infatti, il lavoratore subordinato potrà scegliere spazi, orari e strumenti utili al conseguimento dei propri obiettivi. Non conteranno più le ore di lavoro svolte, piuttosto i risultati prodotti.
Cosa dice la legge sul lavoro agile
Il lavoro agile, già sperimentato precedentemente in diversi contesti aziendali e nella pubblica amministrazione, con la Legge n.81/2017 ha ricevuto una cornice chiara che definisce gli accordi bilaterali tra i dipendenti e l’azienda, unitamente ad alcuni principi essenziali per la sua corretta attivazione.
L’emergenza che stiamo vivendo, causata della diffusione del Covid-19, ha fatto sì che lo smartworking subisse un’improvvisa accelerata in brevissimo tempo. Laddove possibile, infatti, anche i datori di lavoro più “conservatori” hanno dovuto adeguarsi alle nuove norme.
Nel decreto-legge numero 18 del 17 marzo 2020, il cosiddetto “Cura Italia” (pubblicato in Gazzetta Ufficiale), all’articolo 39 si far riferimento proprio al lavoro agile. Fino al 30 aprile 2020, “i lavoratori dipendenti disabili […] o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità […] hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile […] a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”.
Differenza tra smart working, lavoro agile e telelavoro
È opportuno sgombrare il campo da equivoci: smart working non è sinonimo di telelavoro! Spesso, erroneamente, si tende a sovrapporre queste due modalità ma la differenza è sostanziale. Già con la legge n. 191 del 1998 si prevedeva per le pubbliche amministrazioni la possibilità di avvalersi di forme di lavoro a distanza grazie all’ausilio di “apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari” autorizzando i “propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa”.
Il telelavoro viene definito, dunque, come quella forma di lavoro svolto a distanza, ovvero al di fuori dell’azienda ma strutturalmente collegato ad essa grazie al supporto di strumenti informatici e telematici. Il telelavoro prevede, inoltre, precise linee guida su uso della postazione, modalità di connessione e di autenticazione ai sistemi, comunicazioni tra uffici.
Aziende italiane e lavoro agile
Prima dell’emergenza Coronavirus a lavorare da casa in Italia erano in 570 mila (il 2% dei dipendenti). Numero che, secondo il Ministero del Lavoro, è quasi raddoppiato e continua a crescere di giorno in giorno (allo scopo di evitare il proliferare dei contagi).
Ma l’Italia è davvero pronta al lavoro a distanza? Quali sono gli ostacoli? Questo massiccio test di lavoro da casa si scontra con non pochi problemi: in primis l’arretratezza tecnologica e dell’infrastruttura nel nostro Paese. Basti pensare che in molte parti d’Italia la connessione internet non è buona o, addirittura, è completamente assente (la banda larga ultraveloce raggiunge, infatti, solo il 24% della popolazione italiana, contro il 60% della media UE). Inoltre, anche laddove c’è una buona connessione, spesso l’operatività deve fare i conti con l’arretratezza tecnologica di molte aziende, favorita da una mentalità poco aperta all’innovazione.
In controtendenza con questi dati ci sono sicuramente le grandi imprese che, già prima del Covid-19, avevano iniziato ad organizzarsi con piani di smart working. In particolar modo parliamo delle società di telecomunicazioni, grandi banche, assicurazioni, utility e fabbriche più avanzate (che prevedono mestieri che possono essere svolti da remoto). Tra gli esempi virtuosi, ad esempio, c’è Eni che aveva già 4.500 dipendenti in modalità smart, ai quali di recente se ne sono aggiunti altri 11mila.
Vantaggi del lavoro da casa
I vantaggi del lavoro da casa sono molteplici:
- per l’ambiente, perché meno traffico vuol dire meno inquinamento;
- per le aziende, perché riducendo gli spazi si riducono affitti e bollette, a fronte di una produttività dei lavoratori maggiore;
- per il lavoratore, perché riesce a conciliare al meglio tempi di vita e di lavoro.
Un recente studio dell’Università Bocconi ha messo a confronto due gruppi di lavoratori uguali. La ricerca ha evidenziato che i lavoratori in smart working, nell’arco di 9 mesi di sperimentazione, hanno fatto registrare 6 giorni di assenze in meno. Inoltre, il rispetto delle scadenze è aumentato del 4,5% e l’efficienza del 5%.