Il contratto a progetto è stato una delle novità del nuovo millennio. Introdotto nel 2003 dalla Legge Biagi è stato poi abolito dal Jobs Act nel 2015. Oggi i cocopro non esistono più, ma sono rimasti in piedi i cococo.
Cosa nascondono queste sigle e quali sono le caratteristiche di queste forme di lavoro parasubordinato? Per capirlo partiamo da quando sono nate le prime formule di contratto “ibride” e come sono evolute sino ad oggi.
Contratto a progetto Biagi e cococo
Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (cococo) trae origine da una formula di lavoro introdotta per la prima volta più di vent’anni fa. Il contratto a progetto permetteva una collaborazione continuata e coordinata senza vincolo di subordinazione.
Nasceva così un rapporto di lavoro terzo rispetto a quello dipendente ed a quello autonomo. L’esigenza di questo tipo di inquadramento sorgeva dalla necessità di realizzare uno specifico progetto, individuato dal committente.
Il rapporto di lavoro iniziava e si concludeva, quindi, nel tempo di realizzazione del progetto, tuttavia era sempre rinnovabile. Per questo la Legge prevedeva che il lavoratore fosse autonomo: il contratto a progetto non doveva nascondere una collaborazione subordinata.
Tuttavia, il fatto che la contrattazione avvenisse senza particolari tutele, tendeva a rafforzare il ruolo del datore di lavoro, favorendo il precariato. In sostanza, molte aziende hanno usato nel tempo questo strumento per non assumere in maniera stabile i propri dipendenti.
Cococo nel Jobs Act
Con il Jobs act il contratto a progetto viene di fatto abolito e nasce una nuova definizione di collaborazione continuativa.
Il cococo si configura quando la prestazione viene fornita dal collaboratore in maniera autonoma, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite dalle parti. Il nuovo contratto cococo nel 2016 si arricchisce di una sezione regolatoria che rende il contratto meno rigido. Qui il datore, infatti, può specificare quante ore il lavoratore sarà presente in azienda, senza che vi sia subordinazione tra le parti. Lavoratore ed azienda hanno comunque un rapporto unitario ovvero egli rientra a pieno titolo nel ciclo produttivo del committente.
Diversamente da un dipendente, però, il lavoratore con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa non percepisce stipendio mensile. La retribuzione viene corrisposta in forma periodica, come stabilito dalle parti, senza che vi siano vincoli d’orario. In conclusione, il compenso di un lavoratore cococo è il risultato dello stipendio lordo sottratti l’IRPEF netta e le addizionali.
Dal punto di vista contributivo la prestazione è da considerarsi al pari di quella subordinata: due terzi a carico del committente e un terzo a carico del lavoratore. A versare l’intera quota è il datore di lavoro che trattiene la quota in busta paga, esattamente come con i suoi dipendenti.
Contratto co.co.co le caratteristiche
Dopo il Jobs Act il contratto cococo diviene, di fatto, soggetto alla legislazione del lavoro subordinato purché si verifichino tre requisiti. Secondo la circolare INL n. 7 del 30/10/2020, la collaborazione cococo dovrà essere:
- personale,
- continuata,
- etero-organizzata.
La prestazione può essere effettuata in presenza o attraverso piattaforme digitali (art. 2, comma 1) purché sia “prevalentemente personale”.
Il professionista può determinare indipendentemente come e quando svolgere la propria commessa, anche impiegando i mezzi del committente. Per etero-organizzazione si intende l’attività del collaboratore “pienamente integrata nell’attività produttiva e/o commerciale del committente”. Anche la durata del rapporto, continuata appunto, differenzia il cococo da una collaborazione occasionale.
“La prestazione – specifica la circolare – deve ripetersi in un determinato ed apprezzabile arco temporale. Tale caratteristica può evincersi anche dal perdurare dell’interesse del committente al ripetersi della prestazione lavorativa”.
Il potere di coordinamento, la personalità della prestazione ed il contenuto professionale continuo differenziano il cococo dal contratto mini cococo. Questa fattispecie di collaborazione non prevede, infatti, la coordinazione del rapporto e la continuità temporale. Si tratta di una collaborazione che non deve essere inferiore ai 30 giorni per una retribuzione di non più di 5000 euro l’anno.
Contratto cococo malattia, ferie e TFR
Non trattandosi di un lavoro dipendente, i contratti di lavoro cococo non danno diritto né a ferie né a permessi. Per quanto riguarda l’indennità di malattia, questa viene riconosciuta a tutti gli iscritti alla gestione separata dell’Inps. Introdotta dal Jobs Act, questa tutela scatta solo dopo tre anni di contribuzione attraverso il versamento dello 0,72% dell’imponibile. Il lavoratore parasubordinato, quindi, può accedere all’indennità esattamente come i liberi professionisti purché ci sia in corso un rapporto di collaborazione.
Grazie alla normativa 2022, il lavoratore cococo può richiedere anche un simil TFR se:
- esegue prestazioni esclusivamente personali,
- se la prestazione è continuativa e organizzate dal committente anche rispetto a tempi e luogo di lavoro.
In conclusione, se il rapporto personale con l’azienda è stato prolungato e concentrato su progetti temporalmente collegati, il lavoratore potrà fare richiesta di un trattamento di fine rapporto.
La stabilizzazione dei Cococo: la “sanatoria”
All’art. 54 del Jobs Act l’allora Governo Renzi ha introdotto un incentivo alla stabilizzazione di lavoratori autonomi e parasubordinati. La normativa stabilisce che il datore di lavoro può assumere a tempo indeterminato collaboratori cococo e titolari di P. IVA.
I lavoratori dovranno firmare un verbale di conciliazione in sede protetta e non potranno essere licenziati prima di un anno.
L’azienda che decide di assumere a tempo indeterminato un cococo, o un lavoratore autonomo con partita IVA, potrà giovare dell’estinzione da eventuali:
- illeciti amministrativi,
- illeciti contributivi;
- irregolarità fiscali dovute ad una errata qualificazione dei rapporti di lavoro precedenti.
Non potranno essere sanati gli illeciti accertati dall’ispettorato del lavoro in data precedente all’assunzione.
Cococo e disoccupazione
Anche per il cococo è prevista la possibilità di usufruire della disoccupazione, in questo caso non si tratta della Naspi ma della DIS-COLL.
La DIS-COLL per cococo può essere garantita se:
- È cessato il contratto co.co.co,
- È stato versato almeno 1 mese di contribuzione nel periodo tra il 1° gennaio dell’anno precedente e la cessazione del rapporto.
La disoccupazione contratto co.co.co corrisponde ai mesi di contribuzione che vanno dal 1° gennaio dell’anno precedente alla data di interruzione della prestazione. La durata massima è di 12 mesi.