Vuoi approfondire l’argomento dei contratti a tutele crescenti? In questo articolo troverai tutte le informazioni per capire meglio di cosa si tratta e che indennità spetta in caso di licenziamento.
Il riferimento normativo in materia è il Decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015 che disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Vediamo nel dettaglio a chi si rivolge, di cosa si tratta e come funziona questo strumento legislativo. Ma prima facciamo un piccolo passo indietro.
Jobs act di cosa si tratta
Tutto ha inizio con il Jobs Act ovvero con la riforma del diritto del lavoro in Italia. Il suo scopo principale è quello di rendere più flessibile il mercato del lavoro e ridurre la disoccupazione. Guardando oltreoceano i politici italiani, infatti, hanno promosso questa legge che, con il Governo Renzi, trova piena attuazione.
Due i principali provvedimenti:
- il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34 noto anche come “decreto Poletti”, dal nome dell’allora Ministro del Lavoro Giuliano Poletti;
- la legge 10 dicembre 2014, n. 183, che conteneva numerose deleghe da eseguire con decreti legislativi emanati nel corso dell’anno 2015.
Diversi i contenuti ma il più importante resta l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti regolato dal d.lgs. 4 marzo 2015, n.23.
Contratti a tutele crescenti cosa sono
Possiamo dire che fino al 6 marzo 2015 il mondo dei lavoratori dipendenti era diviso in due. Da una parte c’erano i lavoratori che rientravano nell’ambito di applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori; dall’altra, chi non ne faceva parte. La soglia era di 15 dipendenti anche se la regola era un po’ più complicata.
L’art. 18 S.L., infatti, si applica ai datori di lavoro che:
- complessivamente hanno più di 60 dipendenti;
- hanno più di 15 dipendenti nell’ambito dello stesso Comune;
- hanno almeno 5 dipendenti nel settore agricolo.
La differenza tra i due mondi era sostanziale in caso di licenziamento.
Solo il lavoratore tutelato dall’art. 18 S.L. poteva aspirare, in caso di licenziamento illegittimo, alla reintegrazione sul posto di lavoro. Per tutti gli altri, era prevista una indennità in denaro (da 2,5 a 6 mensilità).
Dal 7 marzo 2015, però, le regole sono cambiate e si applicano ai lavoratori assunti da quella data in poi. In caso di licenziamento disciplinare, la loro reintegrazione diventa possibile se viene accertata l’insussistenza del fatto contestato.
Al di fuori di quest’ambito, la illegittimità del licenziamento non porta alla ricostituzione del rapporto di lavoro che viene considerato risolto. Il licenziamento illegittimo comporta il pagamento di un’indennità variabile a seconda dell’anzianità del lavoratore e delle dimensioni dell’impresa. Per questo il contratto viene definito “a tutele crescenti”.
A chi si applica il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti?
Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti si applica solo ed esclusivamente ai dipendenti in possesso di alcuni requisiti:
- ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
- ai lavoratori che dal 7 marzo 2015 hanno avuto trasformato il contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato;
- agli apprendistati che sono stati qualificati dal 7 marzo 2015.
La disciplina è valida per tutte le aziende, indipendentemente dal numero dei lavoratori.
Contratto a tutele crescenti come funziona
Il funzionamento del contratto a tutele crescenti è piuttosto chiaro. Prima, in caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore aveva sempre diritto a essere reintegrato in azienda, cosa che ora non accade più.
Con il contratto a tutele crescenti si ha inoltre diritto a un’indennità di risarcimento pari alla busta paga che avrebbe dovuto percepire dal giorno del licenziamento fino al giorno del reintegro.
L’indennizzo economico è crescente in base all’anzianità di servizio e viene diminuita in caso di altre attività svolte nel periodo. In questa fase l’azienda dovrà anche provvedere a versare i relativi contributi previdenziali.
Il reintegro è previsto solo nei seguenti casi:
- licenziamenti nulli,
- licenziamenti discriminatori,
- licenziamenti disciplinari ingiusti.
Per questi ultimi il rientro a lavoro è previsto solo dopo aver accertato “l’insussistenza del fatto materiale contestato”. Diversamente, un licenziamento ingiustificato avrà come corrispettivo solo l’indennizzo.
Il risarcimento corrisponde a due mensilità per ogni anno di anzianità, per un minimo di 4 e un massimo di 24 mesi.
Le eccezioni: licenziamenti collettivi e piccole imprese
Relativamente ai succitati diritti di reintegro va chiarito che per licenziamenti collettivi qualcosa cambia. Il reintegro è possibile solo se il licenziamento è comunicato esclusivamente in forma orale. Per gli indennizzi, invece, si applica lo stesso indennizzo dei licenziamenti individuali.
Altra eccezione è prevista per le imprese di piccole dimensioni dove il reintegro resta solo per licenziamenti nulli e discriminatori. Negli altri casi l’indennità crescente è l’unica soluzione ma è ridotta. Va, infatti, da un minimo di 2 a un massimo di 6 mensilità.
Contratto a tutele crescenti e successive modificazioni
Dal 2015 il Jobs Act è stato modificato al fine di assicurare più tutele per i lavoratori. Una di queste è prevista dal “Decreto Dignità”, che introduceva indennizzi maggiori per i lavoratori con anzianità di servizio minore.
Anche la Corte costituzionale è intervenuta in materia nel 2018, giudicando illegittimo il calcolo indennizzo solo sulla base dell’anzianità di servizio. L’introduzione di nuovi parametri ha così limitato la discrezionalità del Giudice del lavoro previsto dalla Legge. «Pertanto, il giudice, nell’esercitare la propria discrezionalità, nel rispetto del limite minimo (ora 6 mensilità, così come modificato dal DD) e massimo (ora 36 mensilità, così come modificato dal DD), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità. Dovrà ora tener conto non solo dell’anzianità di servizio ma anche degli altri criteri desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)».
Va ricordato, infine, che tutte le norme citate in questo articolo possono essere derogate in meglio dagli accordi aziendali integrativi. Tradotto in parole semplici: se impresa e Sindacati si accordano per prevedere tutele maggiori rispetto al Jobs Act e smi, queste prevarranno sulla norma.